Il gong

Momenti di ricerca

Autoritratto

Triennale, Luigi Ghirri, 1986

Tratto da Pensare per immagini di Luigi Ghirri, Electa

La fotografia, al di là di tutte le spiegazioni critiche e intellettuali, al di là di tutti gli aspetti negativi che pure possiede, penso sia un formidabile linguaggio visivo per poter incrementare questo desiderio di infinito che è in ognuno di noi
Come ho detto prima, una grande avventura del mondo del pensiero e dello sguardo, un grande giocattolo magico che riesce a coniugare miracolosamente la nostra adulta consapevolezza e il fiabesco mondo dell’infanzia, un continuo viaggio nel grande e nel piccolo, nelle variazione, attraverso il regno delle illusioni e delle apparenze, luogo labirintico e speculare della moltitudine e delle simulazione. 
Borges racconta di un pittore che, volendo dipingere il mondo, comincia a fare quadri con laghi, monti, barche, animali, volti, oggetti. Alla fine della vita, mettendo insieme tutti questi quadri e disegni si accorge che questo immenso mosaico costituiva il suo volto.
L’idea di partenza del mio progetto-opera fotografica può paragonarsi a questo racconto. 
(…)

Cervia, Luigi Ghirri, 1989

Questo modo di incastrare, che posso definire montaggio, assomiglia al metodo costruttivo di un mosaico o di un puzzle. Tenendo ben evidente che se l’immagine si completa solo alla fine, anche ogni singola immagine deve avere una sua autonomia e validità. 
Ho rivolto l’attenzione a un’enorme quantità di soggetti, non per il desiderio di comprendere tutto, ma per la curiosità di capire tutto quello che mi era possibile.
(…)

Ho sempre ritenuto che la fotografia fosse un linguaggio per vedere e non per trasformare, occultare, modificare la realtà.
Ho lasciato che fosse la sua magia a rivelare al nostro sguardo gli spazi, gli oggetti, i paesaggi che voglio rappresentare. Fiducioso che uno sguardo libero da acrobazie formali, forme di coercizione, elucubrazioni, riesca a trovare un equilibrio tra consapevolezza e semplicità.
Trovare così, all’interno della geometria e della fissità dello spazio della camera oscura, la misura della rappresentazione dell’esterno. 
Nessuna violenza, né choc visivo-emozionale, o forzatura, ma il silenzio, la leggerezza, il rigore per poter entrare in rapporto con le cose, gli oggetti, i luoghi.