Il gong

Momenti di ricerca

Riflessioni su immagine e immaginazione

Eco e Narciso, John William Waterhouse, part. 1903, Walker Art Gallery di Liverpool

Immagine e immaginazione sono parole che usiamo quotidianamente per veicolare significati differenti. Quello che spesso manca tra loro è un collegamento, il filo che lega un processo al suo risultato. Immaginare, creare immagini. L’immagine di sé, per esempio, può diventare qualcosa di concreto, che ci riguarda. L’immagine che abbiamo di qualcosa fuori di noi si pone tra noi e la realtà come un filtro, una scatola attraverso cui cerchiamo di “gestire” la realtà, di contenerla, nella difficoltà di riceverla così com’è. Per iniziare ad approfondire tali questioni proponiamo di seguito alcune riflessioni di Jiddu Krishnamurti.

Avete mai provato a guardare una cosa oggettiva come un albero senza che comparissero forme di associazione, senza che intervenisse la conoscenza che su di esso avete acquisito, senza pregiudizio, senza giudicare, senza parole che formerebbero un paravento tra voi e l’albero e che v’impedirebbero di vederlo come realmente è? Provatelo e vedete che cosa realmente accade quando osservate l’albero con tutto il vostro essere, con tutta la vostra energia. In una tale intensità troverete che non esiste affatto osservatore; c’è soltanto attenzione. Solo quando c’è disattenzione, allora troviamo l’osservatore e la cosa osservata. Quando guardate una cosa con totale attenzione, non c’è spazio per concetti, formule o ricordi.

Solo quando vediamo senza preconcetti, senza immagini, allora siamo in grado di entrare in contatto diretto con qualsiasi cosa nella vita. Tutti i nostri rapporti sono in realtà immaginari, cioè basati su una immagine creata dal pensiero. Se io mi sono creato una immagine su di voi e voi una su di me, naturalmente non ci vediamo l’un l’altro come in realtà siamo. Quello che vediamo sono le immagini che ci siamo creati l’uno dell’altro che ci impediscono di entrare in contatto, e questo è il motivo per cui i nostri rapporti vanno male. Quando dico di conoscervi, intendo che vi ho conosciuto ieri. In realtà non vi conosco ora. Tutto quello che conosco è l’immagine che ho di voi. Quella immagine è stata messa insieme da ciò che avete detto per elogiarmi o per insultarmi, da ciò che mi avete fatto – è stata plasmata in base a tutti i ricordi che ho di voi – e l’immagine che voi avete di me è stata plasmata allo stesso modo, e sono quelle immagini che sono in rapporto e che ci impediscono di comunicare l’uno con l’altro.

Giungiamo così a un punto in cui si può dire: “L’osservatore è anche l’immagine, solo egli è separato e osserva”. Questo osservatore che è nato dalle varie altre immagini pensa di essere perenne e tra se stesso e le immagini che ha creato c’è una divisione, un intervallo di tempo. Questo crea conflitto tra lui e l’immagine che egli crede sia causa dei suoi problemi. Allora dice: “Devo sbarazzarmi di questo conflitto”, ma proprio il desiderio di sbarazzarsi del conflitto crea un’altra immagine. La consapevolezza di tutto ciò, che è vera meditazione, ha svelato che c’è una immagine centrale creata da tutte le altre immagini, e questa immagine centrale, l’osservatore, è il censore, colui che fa l’esperienza, che fa le valutazioni, il giudice che vuole conquistare o assoggettare le altre immagini. Le altre immagini sono il risultato di giudizi, opinioni e conclusioni dell’osservatore, e l’osservatore è il risultato di tutte le altre immagini – quindi l’osservatore è la cosa osservata.

L’enigma di una giornata, Giorgio De Chirico, 1914, Museu de Arte Contemporânea da Universidade de São Paulo, Brasile

Ma che cosa succede quando l’osservatore è consapevole che l’osservatore è la cosa osservata? Andiamo piano, molto piano, perché ci stiamo addentrando adesso in qualcosa di molto complicato. Che cosa succede? L’osservatore non reagisce affatto. L’osservatore ha sempre detto “Devo fare qualcosa per queste immagini, devo sopprimerle o dar loro una diversa forma”. È sempre attivo nei confronti della cosa osservata, agendo e reagendo appassionatamente o casualmente, e questa azione di piacere e antipatia da parte dell’osservatore è chiamata azione positiva – “Mi piace, quindi devo mantenerla. Non mi piace, quindi me ne devo sbarazzare”. Ma nel momento in cui l’osservatore comprende che la cosa per cui agisce è lui stesso, allora non c’è conflitto tra lui e l’immagine. Egli è l’immagine. Non ne è separato. Scoprirete allora che c’è una consapevolezza che è diventata straordinariamente viva. Essa non è legata ad alcun problema centrale o ad alcuna immagine e da questa intensità di consapevolezza nasce una diversa qualità di attenzione e quindi la mente – poiché la mente è consapevolezza – diventa straordinariamente sensibile e intelligente.

[Riflessioni tratte da: Jiddu Krishnamurti, Libertà dal conosciuto, Ubaldini Editore 1973]