Che cos’è il silenzio?
“Quando c’è rumore non c’è attenzione.”
Ce lo disse Annette, al termine di una cena, con voce decisa e presente, ma dolcissima. Un silenzio speciale calò nella stanza, qualcosa di tangibile, di realmente ascoltabile, forse anche palpabile. Che cosa c’era prima, nel rumore? Che cosa c’era un attimo dopo? L’aria non era più la stessa. Ogni cellula era diventata una piccola antenna pronta a ricevere qualcosa di nuovo e inaspettato.
Una specie di bello spavento. Di quelle cose che non possiamo che ricordare per sempre.
Che cos’è il rumore?
È quello che succede quando non ci siamo. O quando ci siamo in parte. Il corpo è lì, suo malgrado, ma è scollegato da tutto. Scollegato dal mondo ma anche dal suo mondo…
Ci può essere un silenzio perfetto fuori, ma, se noi siamo altrove, diventa proprio un silenzio… di tomba, appunto.
Al contrario possiamo essere nella città più rumorosa del mondo ma se c’è un contatto reale con noi stessi, allora una forma speciale di silenzio è possibile.
Che cos’è un posto tranquillo?
È necessariamente un posto silenzioso?
In noi c’è una zona dove i rumori, il tumulto interiore, non hanno corso e una zona dove tutto rimbomba.
Quando cerchiamo di raggiungere la zona interiore, vivente, non è per abolire il rumore.
[…] Il vero silenzio è legato alla sensazione di noi. È in contatto con un’energia interiore ed è su un livello diverso da quello della nostra vita corrente. Se durante l’esperienza di quieto silenzio interiore appaiono dei pensieri, passano come su uno schermo.1
Miles Davis diceva che le sue note descrivevano il silenzio, lui suonava intorno al silenzio, “la vera musica è il silenzio, tutte le note non fanno che incorniciare il silenzio”.
Togliere tutto quel che non serve.
Come Michelangelo.
Come fare a capire che cosa serve e che cosa no?
Facendo silenzio. (Strano, fare silenzio…)
Togliere togliere togliere.
Che cos’è il silenzio?
Amiamo il silenzio per quello che non fa: non ci sveglia, non ci dà fastidio, non ci uccide. Ma che cosa fa? Il silenzio fa parte della cura, ed è utile ai pazienti quanto le medicine e le misure d’igiene.2
Oppure:
Il vero silenzio ci sveglia, ci tiene attivi, in una qualche forma.
Quando, per esempio, il vicino di casa smette improvvisamente di tagliare l’erba, la domenica mattina, siamo destati da tanta pace. Ci rendiamo improvvisamente conto che quel rumore continuo che era durato fino a poco prima, dopo un po’ era diventato una nuova definizione di silenzio, di soglia inferiore. Succede la stessa cosa con il turbinìo costante dei pensieri, se ci pensiamo bene…
Quando il suono diventa costante, i neuroni smettono quasi completamente di reagire.
Anche il silenzio improvviso è un cambiamento. Questo ha portato Wehr a fare una scoperta sorprendente. Prima del suo studio del 2010 gli scienziati sapevano già che, quando cala il silenzio, il cervello entra in allerta. Questo meccanismo ci permette di reagire a un pericolo, o di distinguere le parole all’interno di una frase. Ma la ricerca di Wehr ha dimostrato che la corteccia uditiva ha una rete separata di neuroni che si attivano all’inizio del silenzio. “Anche l’interruzione improvvisa di un suono è un evento, come lo è il suo inizio”.2
Che cos’è il silenzio?
Imke Kirste, una studiosa di biologia rigenerativa della Duke University, facendo esperimenti sui topi, ha scoperto che due ore di silenzio al giorno favoriscono lo sviluppo di nuove cellule nell’ippocampo, la regione cerebrale dove si formano i ricordi legati a esperienze sensoriali. È una cosa sconvolgente: la totale assenza di stimoli ha un effetto più pronunciato di tutti gli stimoli sperimentati.2
Che cosa possiamo fare per vivere l’esperienza del silenzio? Osservare il rumore e trovare una crepa tra un rumore e quello successivo. Farlo nella maniera delicata con cui si accoglie un soffione di tarassaco nella mano quando lo si vede arrivare da chissà dove.
I nostri momenti di apertura interiore sono legati al silenzio. Più noi tentiamo, più sentiamo d’impegnarci in un’esperienza difficile. Ne sentiamo la serietà. Accettiamo.1
Possiamo ricercare la forma del silenzio nelle varie forme d’arte, in una fotografia, in un’architettura, in un’opera letteraria.
Mia nonna, con il suo solito senso dell’umorismo, al termine di discussioni infinite dei parenti su cose futili diceva sempre: “un buon tacer non fu mai scritto”. Lo diceva e sorrideva, alla sua maniera.
La ricerca dell’essenziale è ricerca di quel tipo di silenzio, è la ricerca di quella forma (forse unica) che spiega l’essenza, la rivela.
E l’essenza la trovi in silenzio. Non c’è niente da fare.
L’architetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe è quello che forse più di altri ha perseguito questo intento: “Credo che l’architettura abbia poco o nulla a che fare con la ricerca di forme interessanti, o con le inclinazioni personali […] è sempre oggettiva ed è l’espressione dell’intima struttura dell’epoca nel cui contesto si colloca”.
Il mondo è qualcosa che ci viene dato e che non serve inventare, ma solo riconoscere. Mies lavora con materiali obiettivi, in un certo senso puri. […] Li estrae dalla quotidianità per inserirli in un altro scenario, nel quale si trasformano in oggetto di contemplazione. […] E per fare in modo che un’opera si trasformi in oggetto di contemplazione, deve possedere la proprietà della trasparenza, deve cioè ottenere che lo sguardo dello spettatore non vi si soffermi, bensì che la attraversi, fino a portare l’attenzione oltre il limite fisico definito dall’opera stessa. […] La trasparenza così intesa si contrappone all’eccesso di forma e alla retorica del significato. È in questo modo che la trasparenza si avvicina a certe forme del silenzio. Infatti anche il silenzio può essere trasparente, transitivo, poiché permette all’opera di proiettarsi verso altre dimensioni della realtà che non sono esattamente in essa contenute.3
Il silenzio è rinuncia, è ricerca della precisione, del suono giusto, è pulizia, è ricerca. Tutte (non) azioni che hanno valore asintotico, come il tentativo di raggiungere la stella polare.
Il silenzio non è visto come qualcosa di marginale e improduttivo, ma piuttosto come una categoria che possiede specifiche proprietà, come un principio attivo e creativo e, dunque, poetico. Con una profonda intuizione, lo scrittore e saggista francese George Steiner colloca questa forma di silenzio nel campo della metafisica. Nelle tradizioni orientali del buddismo e del taoismo “l’anima è concepita come qualcosa che dai rozzi impedimenti del materiale […] si eleva verso un silenzio sempre più profondo. Il livello più alto e più puro dell’atto contemplativo è quello che ha appreso a lasciarsi il linguaggio alle spalle. […] L’artista e il mistico si muovono in un terreno di frontiera, sulla soglia che separa il mondo che conosciamo da quell’altro che si nasconde e ci è vietato. La differenza tra i due è che mentre il mistico cerca di abbandonare il mondo conosciuto per stabilirsi nell’ambito soprannaturale, l’artista si adopera per mettere in relazione le due dimensioni, con il riuso di materiali che la stessa realtà gli offre.3
Silenzio è sinonimo di vuoto, e il vuoto attira “fisicamente” qualcosa che arriva dall’alto.
Meditazione è richiamare il silenzio.
Ma la scoperta forse più sconcertante e più illuminante è che il silenzio non potrà mai essere completo, assoluto, almeno non qui sulla terra, così come non esiste il vuoto allo stato puro.
La ricerca, quindi, è infinita.
Ce lo insegna John Cage, nel 1952, con 4:33 (273 secondi… -273°C è lo zero assoluto). È il tempo durante il quale l’interprete deve rimanere immobile e zitto davanti al suo strumento, lasciando che il pubblico, con i suoi movimenti e mormorii, crei l’universo sonoro che la partitura in bianco rinuncia a definire.
Ovunque ci troviamo, quello che sentiamo è in gran parte rumore. Quando lo ignoriamo ci disturba. Quando gli prestiamo ascolto, lo troviamo affascinante. Il frastuono di un camion che corre a ottanta all’ora. Le scariche elettrostatiche alla radio. La pioggia.4
Gli scienziati stanno scoprendo che dentro di noi il silenzio non esiste. “In assenza di suoni il cervello tende spesso a rappresentarli al suo interno”, dice l’esperto di neurologia del suono Robert Zatorre.
Immaginate, per esempio, di stare ascoltando “The Sound of Silence” di Simon & Garfunkel, quando a un tratto la radio si spegne. I neurologi hanno scoperto che, se conosciamo bene la canzone, la nostra corteccia uditiva rimane attiva come se la musica continuasse. “Quello che ‘sentiamo’ non è generato dal mondo esterno”, dice David Kraemer, che ha condotto esperimenti del genere nel suo laboratorio al Dartmouth college. “In realtà stiamo ripescando un ricordo”. Non sono sempre i suoni a produrre sensazioni, a volte è una nostra sensazione soggettiva a produrre l’illusione di un suono.2
“Un pensiero può produrre milioni di vibrazioni” (John Coltrane).
Questo ci ricorda il grande potere immaginativo della mente. Nel vuoto sensoriale del silenzio la mente può suonare le sue sinfonie.
A quanto pare l’assenza di rumore e di compiti finalizzati a uno scopo unisce il silenzio esterno a quello interno, consentendo al nostro spazio interno di fare il suo lavoro e scoprire qual è il nostro posto nel mondo. Questo è il grande potere del silenzio.2
Il silenzio suggerisce altro, un altro che è oltre le cose che percepiamo con i nostri sensi. A ben vedere, percepire il silenzio è qualcosa che va oltre l’udito.
Le ottave del silenzio…
“Se desideri vedere, ascolta”, scrive san Bernardo di Chiaravalle, “l’ascolto è un gradino verso la visione”.
Noi abbiamo bisogno di silenzio, non per evadere, ma per conoscere le fondamenta, le radici, le tendenze della nostra vera natura.1
Che cos’è il silenzio?
Dario Paini
Foto e disegno di Dario Paini
- Henriette Lannes, Ritorno al Presente, Libreria Editrice Psiche 2007
- Articolo: “This is your brain on silence”, Daniel A. Gross (nella traduzione su Internazionale – Il Bello del Silenzio)
- Carlos Martì Arìs, Silenzi eloquenti, Edizioni Christian Marinotti 2002
- John Cage, Silenzio, Il Saggiatore 2019