Tratto dalla scrittura teatrale “La conferenza degli uccelli” di Jean-Claude Carrière, ispirato all’omonimo poema del poeta sufi Farid Uddin Attar. Traduzione dal francese di Francesca Netto.
INIZIO DEL CONGRESSO
UPUPA: Un giorno tutti gli uccelli della terra, i conosciuti e gli sconosciuti, si riunirono a congresso. Quando furono riuniti, l’upupa, commossa e piena di speranza, prese posto in mezzo a loro e disse:
“Cari uccelli, passo le mie giornate nell’ansia. Non vedo tra noi che litigi e battaglie, per una striscia di terreno, per pochi chicchi di grano. Questo stato di cose non può durare. Per anni ho traversato il cielo e la terra. Ho percorso immensi spazi e conosco molti segreti. Ascoltatemi. Noi abbiamo un re. Dobbiamo partire alla sua ricerca. Altrimenti siamo perduti.”
UCCELLI: Un re! Abbiamo avuto molti re! Che ne facciamo di un altro re?
UPUPA: Uccelli negligenti, aspettate! Colui di cui vi parlo è il nostro re legittimo. Abita dietro il monte Qaf. Il suo nome è Simorg. È il vero re degli uccelli. Egli ci è vicino, e noi ce ne siamo allontanati. La strada per arrivare fino a lui è ignota. Ci vuole un cuor di leone per affrontarla. Io, da sola, non me la sento. Ma sarebbe vergognoso per me aver vissuto e non essere arrivata a vederlo.
AIRONE: Siamo proprio sicuri che il Simorg esiste?
UPUPA: Sì. Una delle sue penne cadde in Cina nel mezzo della notte e la sua fama si sparse per il mondo intero. Questo segno della sua esistenza è la prova della sua gloria. Un disegno è stato fatto di questa penna, e tutti ne portano l’impronta nel cuore. Guardate.
COLOMBA: Che c’è scritto?
UPUPA: “Partite alla mia ricerca – foss’anche in Cina”
PASSERO: Sì! Partiamo! Sono molto impaziente di conoscere il mio sovrano! Nel pozzo in cui sono caduto afferro la corda con la mano! Partiamo!
FALCO: Io il Falco, mi riposo sulla mano del re. La mia vita è severa e disciplinata, in modo da poter svolgere con estrema esattezza il mio servizio. Perché mai dovrei voler vedere il Simorg, sia pure in sogno? Non mi sento chiamato al viaggio. Sono sufficientemente onorato della mano del re. Non desidero altro che rimanere con lui per tutta la mia vita.
UPUPA: Non è sempre un piacere vivere accanto ai re. Guarda.
Entra un re.
UPUPA: Questo re offrì ad uno schiavo un vestito d’onore. Lo schiavo si mise in viaggio con questo vestito. Faceva caldo. Il vento sollevava la polvere. Allora lo schiavo si pulì il viso con una manica del suo vestito. Così.
UPUPA: Immediatamente il re lo fece impalare.
FALCO: Ebbene?
UPUPA: Un altro re apprese che un mendicante s’era preso di ardente amore per lui, e che proclamava tale amore per tutto il paese.
MENDICANTE: Amo il mio re, non amo che il mio re…
RE: Ehi! Vieni qui!
RE: Se sei innamorato di me, scegli: o lasci immediatamente questo paese, o ti faccio tagliare la testa.
MENDICANTE: Preferisco partire.
RE: Che gli si tagli la testa!
I UCC. ESOTICO: Ma è innocente! Perché giustiziarlo, lui che ti ama?
RE: Il suo amore non è veritiero, dato che egli preferisce la sua testa!
Tagliano la testa allo schiavo.
FALCO: Ti ascolto. Ma non capisco chiaramente quello che vuoi dire.
L’upupa fa comparire un terzo re dicendo:
UPUPA: Un re possedeva uno schiavo bellissimo, che prediligeva. Gli dava i più bei vestiti e lo aveva sempre davanti ai suoi occhi. Ogni giorno, lo schiavo si metteva una mela sulla testa ed il re si allenava a tirare con l’arco. Quando la freccia raggiungeva il bersaglio, tutta la corte applaudiva il re.
II UCCELLO ESOTICO: Perché lo schiavo è così pallido?
I UCCELLO ESOTICO: E lo chiedi?
UPUPA: Un giorno, per sventura, lo schiavo venne ferito.
RE: Maldestro! Imbecille! Io che sono il più abile arciere del regno! È colpa sua! D’essersi mosso! Finitelo!
FALCO: Perché mi rispondi sempre con dei racconti?
UPUPA: Chi governa da prepotente in un paese non è un re.
UPUPA: Per evitare il viaggio, gli uccelli trovarono mille scuse. Per convincerli a partire, l’Upupa raccontò loro mille storie. Ma la loro paura era spesso più forte.
ANATRA: No, no e no! Partite pure se volete, io l’Anatra non partirò. Io che sono la purezza stessa, io che trascorro la mia vita nell’acqua. Chi sa stare sull’acqua come me? Ho sicurissimamente un potere magico. No, no, non partirò!
PERNICE: Neanch’io! Per me, la Pernice, la vita sono le pietre preziose. L’amore per i gioielli ha acceso un fuoco nel mio cuore. Questo amore mi lega alla montagna dove trovo queste pietre. Impossibile lasciarla.
ANATRA: Il mio cibo e la mia dimora sono nell’acqua. Se ho un dispiacere, lo lavo nell’acqua. Non mi piace la terra secca. Come potrei lasciare la mia acqua?
PERNICE: Io mangio delle pietre e io dormo sulla pietra. Amo le pietre, perché le pietre sono eterne. O trovo delle pietre, o muoio.
UPUPA: Addio Anatra, addio Pernice! Ascoltatemi. Il Simorg è nascosto da un velo. Quando manifesta fuori del velo, anche per un momento, il suo viso brillante come il sole, egli produce migliaia di ombre sulla terra. Quelle ombre sono gli uccelli. Voi. Voi tutti non siete che l’ombra del Simorg. Che vi importa allora di vivere o di morire? Se il Simorg voleva rimanere nascosto non avrebbe mai proiettato la sua ombra. E l’ha proiettata. Ma giacché non lo si può guardare in volto, ha fatto uno specchio per riflettervisi.
COLOMBA: Qual è questo specchio?
UPUPA: È il tuo cuore.
II UCCELLO ESOTICO: Perché parli sempre per enigmi?
UPUPA: Non ho forse già risposto?
AIRONE: Sono molto impaziente di partire, ma ho paura. Chi è esattamente questo re? Spiegami!
UPUPA: Guarda questa principessa. Un giorno, durante una passeggiata, vede uno schiavo di straordinaria bellezza, e subito il suo cuore ne è preso.
DAMA-COLOMBA: Che hai principessa?
PRINCIPESSA: L’amore mi domina. Sono pronta a rinunciare al mio onore ed alla mia vita.
DAMA-COLOMBA: L’amore di uno schiavo?
PRINCIPESSA: Lo so. Non posso entrare in rapporto con lui. Ma se non gli parlo, morirò tra i lamenti.
DAMA-COLOMBA: Che vorresti esattamente?
PRINCIPESSA: Vorrei godere della sua presenza, ma senza che lui se ne accorga.
DAMA-COLOMBA: Te lo porteremo stanotte di nascosto. E lui stesso non ne saprà nulla. Mi recherò segretamente dallo schiavo e, come per divertirmi con lui, gli chiederò due coppe di vino. Verserò un narcotico nella sua e dopo poco perderà i sensi.
FALCO-SCHIAVO: Dove sono? Qual è questo palazzo? Da dove vengono questi tappeti? Queste candele profumate d’ambra? Questa musica? Chi sei? Sono abbagliato dalla bellezza del tuo viso. Sono stupefatto. Non ho più né ragione, né vita. Non sono più in questo mondo e, tuttavia, non sono più nell’altro.
PRINCIPESSA-UPUPA: Hai sete?
SCHIAVO: Una sete ardente.
PRINCIPESSA-UPUPA: Ecco del vino.
DAMA-COLOMBA: Tutta la notte, il sole del vino circolò alla luce delle candele. Tutta la notte, l’occhio dello schiavo rimase fisso sul viso della principessa. Tutta la notte, ella fece all’amore con lui, piangendo. Lo schiavo rimase in questa specie di visione fino all’aurora. Quindi una nuova droga l’addormentò, e fu trasportato dove si trovava prima.
SECONDO SCHIAVO: Ma che ti prende?
SCHIAVO: Dove siamo?
SECONDO SCHIAVO: Come, dove siamo?
SCHIAVO: Che è successo? Aiutami!
SECONDO SCHIAVO: La notte è finita, a che serve gridare?
SCHIAVO: Ahimè! Ahimè!
SECONDO SCHIAVO: Ma smettila! Che ti prende?
SCHIAVO: Ciò che ho visto, nessuno lo vedrà mai, nessuno!
SECONDO SCHIAVO: Che hai visto? Raccontamelo, almeno!
SCHIAVO: Non posso. Sono sconvolto! Ciò che ho visto, l’ho visto in un altro corpo. Non ho sentito niente, anche se ho sentito tutto. Non ho visto nulla, anche se ho visto tutto.
SECONDO SCHIAVO: Hai sognato!
SCHIAVO: Non so se ho sognato, non so se ero ubriaco.
SECONDO SCHIAVO: Dove vai?
SCHIAVO: Non so dove vado. Ma devo partire. Devo partire.
COCORITA: Un minuto! Un minuto!
UPUPA: Che vuoi, cocorita?
COCORITA: Dei cattivi mi hanno rinchiuso in una gabbia di ferro, bella come sono.
UPUPA: Allora?
COCORITA: Ebbene, io che vorrei tanto innalzarmi fino all’ala del Simorg, non posso. Sono nella mia gabbia.
L’Upupa apre la gabbia. La Cocorita esce e scopre la libertà. Canta per un momento. Poi incontra il Pavone, si spaventa e rientra nella sua gabbia.
COCORITA: Mi nutrono di zucchero sin dal mattino. Porto un collare d’oro. La mia gabbia mi basta. Amo la mia gabbia.
UPUPA: Tu non hai nessuna idea di che cos’è la felicità. Tu non hai la mandorla, hai solo la scorza della mandorla.
UPUPA: E tu?
PAVONE: Cosa, io?
UPUPA: Vuoi partire?
PAVONE: No. Non sono un uccello come gli altri uccelli. Sono stato cacciato dal mio regno ed attendo, nel mio esilio, il cuore generoso che mi ridarà il mio trono. Poco m’importa del Simorg! Guardate i miei centomila colori!
UPUPA: Vedo i tuoi centomila colori, e vedo anche come sono brutti i tuoi piedi.
Vergognoso dei suoi piedi, il pavone vuole nasconderli.
UPUPA: Paragonato all’oceano, il tuo regno è appena una goccia. Perché star dietro alla goccia, quando si può ottenere l’oceano? Dove vai, passero?
PASSERO: Io?
UPUPA: Sì, tu, che eri così impaziente di partire!
PASSERO: Oh, io, sono così debole. Sono fragile come un capello. Non ho la forza di una formica. Ho una gran voglia di vedere il Simorg, ma nella mia debolezza come arrivare fino a lui? Morirei per strada.
Entra un uomo che cammina lentamente. L’Upupa lo addita.
UPUPA: Ti ricordi di quest’uomo?
PASSERO: No.
UPUPA: Era un santo, la cui perfezione era sopra ogni dire. Aveva in dote la scienza e la saggezza. Era un esempio incomparabile per gli uomini e come una bandiera nel mondo. Nel momento in cui stavano per giustiziarlo, non pronunciava che queste parole: “Io sono la verità”. Allora, per punirlo, gli tagliarono le mani e i piedi. Il sangue usciva a fiotti dal suo corpo ed egli impallidì. Allora quest’uomo si affrettò a stropicciare le sue due mani tagliate contro il suo viso dicendo: “Dato che è il sangue a colorare la carnagione dell’uomo, voglio servirmene oggi per arrossare il mio viso. Non voglio apparire pallido di fronte a nessuno. Si potrebbe pensare che ho provato paura. Voglio essere rosso. Quando il boia si volgerà verso di me, vedrà che qui c’è un uomo coraggioso. Il mondo non è che il cadavere del nulla. Perché dovrei aver paura?
L’uomo esce in silenzio. Gli uccelli sono silenziosi.
UPUPA: Allora? Non dite più nulla? Avete dunque tanta paura di questa morte? Quest’uccello non ama che la sua gabbia. Quest’altro non vuole lasciare il suo piccolo stagno, o la sua montagna. Quest’altro si prende per una formica. Quest’altro per un re. Migliaia di creature si accaniscono a rincorrere il cadavere di questo mondo. E tutte si dicono: perché lasciare la tranquilla felicità di cui godiamo? Che fare del suo cuore?