“Il mio maestro – sia Dio pago di lui – diceva: ‘Sono lieto di quel che sento dire contro di te’. Parimenti Al-Arabi ad-Darqawi è lieto di quel che sente dire contro di voi, di quel che uccide il vostro egoismo e vivifica i vostri cuori, non certo del contrario, giacché soltanto il negligente, l’ignorante colui la cui intelligenza è offuscata e la cui coscienza è ottenebrata s’occupa di quello che vivifica l’ego (nafs) e uccide il cuore”
Al-Arabi ad-Darqawi (1740 circa – 1823) apparteneva alla Shadhiliyyah, confraternita sufi fondata da Abu Hassan al-Shadhili (1196 – 1258). Visse per tutta la vita in Marocco, ma, grazie ai suoi numerosi discepoli, il suo insegnamento si estese in tutta l’Africa Settentrionale, in Siria, fino ad arrivare in Arabia e addirittura a Giava. Di lui ci resta un corposo epistolario, di cui “Lettere di un maestro sufi” (Edizioni Se, Milano 1997) costituisce una scelta. Suo maestro fu al-Himrani al-Hassani, detto al-Jamal (il cammello).
Nelle sue lettere ad-Darqawi parla spesso del suo apprendistato presso al-Jamal. Gli aneddoti che racconta sono spesso storie esemplari atte ad illustrare una qualche tappa del cammino dell’aspirante faqir (derviscio). In esse è sovente elemento centrale la lotta che deve scatenarsi nell’interiorità dell’uomo tra l’anima (nafs), legata alle passioni terrene, e lo spirito (ruh), che aspira invece a beni più elevati e intangibili. Il maestro, come guida, gioca un ruolo mimetico, essendo di volta in volta specchio o della passionalità, o della tensione mistica del discepolo; uno sforzo quello del maestro, sempre teso a rafforzare la parte del discepolo che si rivolge a Dio. Questo il racconto del primo incontro di ad-Darqawi con il suo maestro:
“Al mattino andai a trovarlo nella sua zawiyah (cella) […] Bussai alla porta e me lo vidi davanti, intento a spazzare la zawiyah, com’era sua abitudine; […] – Che cosa vuoi? – mi disse – O mio signore – risposi – voglio che tu mi prenda per mano verso Dio.
Incominciò allora a rimproverarmi violentemente, celando ai miei occhi il suo vero stato, con parole simili a queste: – Ma chi ti ha detto che prendo per mano chiunque, e perché dovrei farlo con te? – E mi scacciò.
Così me ne andai, ma quando calò la notte interrogai ancora Dio. Poi compiuta la preghiera del mattino ritornai alla zawiyah […] Bussai alla porta. Mi aperse e gli dissi: – Prendimi per mano, per l’amor di Dio!
Allora mi prese la mano e mi disse: – Sii il benvenuto! – Mi fece entrare nella sua casa all’interno della zawiyah, e mi manifestò una grande gioia. – O mio signore, – esclamai – da quanto tempo cercavo un maestro spirituale! – E io – mi rispose – da quanto tempo cercavo un discepolo sincero.“
Come in molte altre tradizioni, anche in quella sufi, il vero nemico è l’amor proprio, dominatore incontrastato delle azioni e dei desideri dell’uomo. L’incontro con un maestro rappresenta in quest’ottica l’inizio di una vera e propria guerra, diventando egli il primo vero alleato di chi in noi subisce più fortemente tale giogo. Così le umiliazioni che vengono subite dal faqir, la debolezza che ne consegue, sono tali solo per l’anima (nafs), mentre lo spirito trova finalmente nutrimento e spiragli di vita. Questo permette al faqir di sperimentare un’altra condizione; in essa lo spirito è finalmente in grado di imporre la propria legge, A differenza dell’altra, però, questa legge non è data da desideri personali o dal proprio egoismo; essa proviene, attraverso l’azione che il maestro opera sul discepolo, dal ricordo (dhikr) di Dio e dei suoi precetti. A questo proposito ad-Darqawi racconta di quando domandò ad al-Jamal che cosa intendesse con la frase “rompere con le abitudini”. Il maestro gli tolse il copricapo (hayk) dalla testa, lo attorcigliò e glielo legò al collo. Istantaneamente l’anima (nafs) si ribella:
“Allora la mia anima mi chiese: – Che mai vuol dire ciò? – Non sapevo cosa risponderle, se non rimettermi l’hayk sul capo come d’abitudine. Però non lo feci, e le dissi: – Il maestro ne conosce bene il significato. Ma tu , perché ti sei tanto turbata e ribellata? […] Chi sei e qual è il tuo grado, per non sopportare di trovarti in questo stato? Ti piace dunque solo rimanere con la tua concupiscenza e i tuoi capricci, a trastullarti sfrenatamente! No, in nome di Dio, non ne godrai finché veglierò su di te e sulla tua ostilità! –
E la mia anima alla fine accettò la legge che le imposi. Guai al faqir, guai a lui, se vede la forma della sua anima (nafs) come realmente è, e non la soffoca finché muoia!”
Quando il discepolo riconosce le sue due nature il suo sforzo diventa una tensione positiva verso ciò che in lui riconosce Dio e la sua legge. Come dice al-Jamal:
“il vero modo di far torto al nemico consiste nel consacrarsi all’amore dell’Amico; se badi viceversa a far la guerra al nemico, costui avrà ottenuto da te ciò che voleva, e tu avrai al tempo stesso perduto la possibilità di amare l’Amico”
Distrazione e attenzione. Nell’esistenza dell’uomo, queste due forze, devono spostarsi e invertire i loro poli di attrazione. La lotta è questo sforzo.
“Purché Tu sia dolcezza, sia pure amara la vita!
Se tu sei lieto, che importa il corruccio degli uomini?
Ogni cosa tra Te e me sia giardino coltivato,
E tra me e il mondo vi sia solo il deserto!
Se il tuo amore è certo, tutto riesce facile,
Giacché sulla terra non v’è altro che terra.”
Testo di Daniele Magelli
Le parti in corsivo sono tratte da “Lettere di un maestro sufi” di Al-Arabi ad-Darqawi – Edizioni Se