Simone Weil (1909-1943) è una figura isolata e fondamentale del Novecento, portatrice di un pensiero sottile e originale, di una filosofia che si propone come indagine di sé e strumento capace di plasmare la vita quotidiana. Dallo studio del sanscrito con René Daumal all’ascetismo estremo, la sua vita breve e intensa, il suo conflittuale attivismo politico, il suo misticismo contribuiscono a tracciare un ritratto complesso e sfuggente, che ancora oggi resta difficile da decifrare e appassionante da studiare.
I passi seguenti sono tratti da L’ombra e la grazia [Bompiani, 2014, traduzione di Franco Fortini] e dai Quaderni [Adelphi, 1982, a cura di Giancarlo Gaeta]:
«L’attenzione è legata al desiderio. Non alla volontà ma al desiderio. O, più esattamente, al consenso.
Si libera in sé energia. Ma essa si avvinghia di nuovo, continuamente. Come liberarla tutta? Bisogna desiderare che ciò avvenga in noi. Desiderarlo veramente. Desiderarlo soltanto, non desiderare di compierlo. Perché ogni tentativo in questo senso è vano e si paga caro. In una impresa simile, tutto quel che chiamo “io” dev’essere passivo. L’attenzione sola mi è richiesta, quella attenzione tanto piena che l’Io vi scompare. Privar tutto quel che chiamo “io” della luce dell’attenzione e proiettarla sull’inconcepibile.»
«Soltanto lo sforzo senza desiderio (non legato a un oggetto) racchiude infallibilmente una ricompensa.
Sfuggire dinanzi all’oggetto che si vuole ottenere. Solo quel che è indiretto è efficace. Non si ottiene nulla se, per cominciare, non si è fatto marcia indietro.»
«Non bisogna cercare di mutare in sé o di cancellare desideri e avversioni, piaceri e dolori. Bisogna subirli passivamente, come le sensazioni coloristiche; e senza dar loro una importanza maggiore di quelle. Se il vetro della mia finestra è rosso, non posso, quand’anche ragionassi entro di me per un anno intero, non vedere la mia stanza di color rosa. So anche che è necessario, giusto e bene che io la veda così. Contemporaneamente, a quel colore, in quanto dato informativo, concedo un credito limitato dalla mia conoscenza del suo rapporto col vetro. Accettare così e non altrimenti i desideri e le avversioni, i piaceri e i dolori d’ogni genere che accadono entro di me.»
«Se il grano non muore… Deve morire per liberare l’energia che porta in sé perché se ne formino altre combinazioni.
Egualmente noi dobbiamo morire per liberare l’energia schiava dell’attaccamento, per possedere una energia libera suscettibile di entrare in un rapporto vero con le cose.»
«Debitori. Gli uomini ci debbono quel che noi immaginiamo che essi ci daranno. Rimettere loro questo debito.
Accettare che essi siano diversi dalle creature della nostra immaginazione, significa imitare la rinuncia di Dio. Accettare che essi siano.
Anch’io sono diverso da quel che immagino di essere. Saperlo è il perdono.»
«L’altro. Percepire ogni essere umano (immagine di se stessi) come una prigione in cui abita un prigioniero, con tutto l’universo attorno.»