Tratto dalla drammaturgia teatrale del “Mahabharata” di Jean-Claude Carrière e Peter Brook.
VIRATA
C’è un pensiero che mi disturba, che mi ossessiona, rispondimi prima di partire: è vero che questo mondo verrà distrutto?
VYASA
È già successo.
Tanto tempo fa, tutte le creature viventi erano morte. Il mondo non era altro che mare, una palude grigia, nebbiosa, ghiacciata. Rimase un solo anziano, completamente solo, risparmiato dalla devastazione: il suo nome era Markandeya. Camminò e camminò nell’acqua stagnante, esausto, senza trovare rifugio da nessuna parte, nessuna traccia di vita. Era disperato, la sua gola tesa con inesprimibile dolore. Improvvisamente, senza sapere perché, si girò e vide dietro di sé un albero che sorgeva dalla palude, un fico, e ai piedi dell’albero un bambino molto bello e sorridente.
Markandeya si fermò, senza fiato, annaspando, incapace di capire perché il bambino fosse lì.
IL BAMBINO
E il bambino gli disse: “Vedo che hai bisogno di riposare, entra nel mio corpo”
VYASA
L’anziano, improvvisamente, provò un totale disprezzo per la lunga vita. Il bambino aprì la bocca, un grande vento si sollevò, una folata irresistibile trascinò il vecchio verso la bocca . Suo malgrado entrò, così com’era, e cadde nel ventre del bambino. Lì, guardandosi intorno, vide un ruscello, alberi, mandrie di bestiame, vide donne che portavano acqua, una città, le strade, la folla, i fiumi… sì, nel ventre del bambino vide il mondo intero, calmo, bello, vide l’oceano, vide il cielo infinito. Camminò a lungo, per più di cento anni, senza raggiungere la fine del corpo, poi il vento si risollevò, e lui si sentì spinto verso l’alto, uscì attraverso la stessa bocca e vide il bambino e l’albero di fico.
IL BAMBINO
Il bambino lo guardò con un sorriso e disse: mi auguro che tu abbia fatto un buon riposo.
Traduzione in italiano di Valentina Mele.